L’intelligenza artificiale generativa ci ha abituati a interagire con macchine che possono scrivere testi, creare immagini o rispondere a domande con un’incredibile fluidità. Tuttavia, questo tipo di AI ha un limite fondamentale: attende istruzioni. È qui che entra in scena una nuova evoluzione concettuale e tecnologica, l’Agentic AI, un’intelligenza capace di non solo rispondere, ma agire, pianificare, e persino prendere iniziative autonome.
L’Agentic AI rappresenta un passaggio da un paradigma di assistenza passiva a uno di collaborazione attiva. Mentre oggi siamo abituati a “chiedere” a un sistema di fare qualcosa, con un agente intelligente potremmo semplicemente descrivere un obiettivo, come organizzare una conferenza o lanciare una campagna marketing, e lasciare che sia lui a definire i passaggi, a eseguirli e a monitorarne i risultati, con interventi umani solo in casi critici. Non si tratta solo di automatizzare, ma di creare entità software autonome che comprendono contesto, obiettivi e strumenti a disposizione.
Questa nuova forma di AI nasce dall’intersezione tra modelli linguistici avanzati, capacità decisionale e memoria a lungo termine. In altre parole, si comincia a parlare di agenti digitali che non solo ricordano ciò che hanno fatto, ma adattano la propria strategia in base all’esperienza. Inizia così a prendere forma un nuovo tipo di intelligenza artificiale, più simile a un collaboratore che a un semplice esecutore.
Questo cambiamento comporta nuove opportunità, ma anche profonde implicazioni. Un agente che decide e agisce solleva domande serie su controllo, affidabilità e responsabilità. Chi risponde se prende una decisione sbagliata? Fino a che punto possiamo o dovremmo delegare?
Il salto da generative AI ad agentic AI non è solo tecnico, ma culturale. Riguarda il modo in cui vediamo il nostro rapporto con le macchine: da semplici strumenti a partner cognitivi con cui costruire un nuovo modo di lavorare, comunicare e innovare.